lundi 25 février 2013

Fenomeno bio nei campi Oltre 150 aziende verdi


Regole severe per chi decide di coltivare e allevare senza l’aiuto della chimica Ma i consumatori ripagano: i prezzi dei prodotti schizzano fino a raddoppiare
Da una parte la scelta etica di chi sogna il ritorno al passato e, magari con un po’ di ideologia a guidare i propri consumi, non vuole sentir parlare di fertilizzanti chimici (e figurarsi di organismi geneticamente modificati). Dall’altra i conti fatti da aziende che vedono la possibilità di guadagnare di più e occupare un mercato sempre meno di nicchia e sempre più fenomeno di costume. Domanda e offerta si incontrano ed eccolo qua il biologico a far breccia nell’agricoltura e nella zootecnia intensive della pianura mantovana: duemila ettari di terreni dedicati, 1.500 capi allevati e oltre 150 aziende tra produttori e trasformatori secondo il censimento del settore primario della Direzione generale agricoltura della Regione Lombardia rilanciato dall’ufficio economico di Confagricoltura.
Il marchio bio è concesso solo dopo il rispetto di una rigida serie di procedure: il prodotto finito che arriva tra le mani del consumatore, per godere della certificazione, deve essere passato in ogni sua fase in aziende green. Così, ad esempio, chi intende fare del proprio appezzamento un terreno per le coltivazioni bio deve attendere tre anni per il riconoscimento dell’addio alle tecniche tradizionali. È un traguardo inseguito da un numero crescente di aziende. Alla fine del 2011, chiusura dell’ultimo censimento regionale, tra superfici già dedicate e in attesa del via libera si sfiorava quota duemila ettari tra i quali 350 per le erbe mediche, 170 per il mais, 160 per il grano e 150 ciascuno per frutta e soia. A lavorarli sono 96 aziende specializzate. Diciotto invece gli allevamenti che hanno scommesso sulla crescita al 100% biologica dei loro capi: quasi 1.200 suini, oltre 120mila avicoli e qualche centinaio tra bovini e ovicaprini. La filiera bio prosegue al livello successivo, quello dei preparatori e dei trasformatori che rispettano le procedure libere dall’intervento della chimica: 67 le aziende attrezzate. In una Lombardia molto legata all’agricoltura tradizionale e dunque lontana dalla vetta nella classifica del biologico, Mantova è al secondo posto dietro a Pavia che, da sola, rappresenta i due terzi del settore nella regione.
Se la svolta bio di migliaia di consumatori ha motivazioni etiche o salutistiche, la scelta delle aziende ha ovvie ragioni economiche. La produzione al 100% verde ha dei costi perché servono strumenti e stretta osservanza delle procedure, ma quando si passa all’incasso i benefici esistono eccome. Il confronto tra le quotazioni dei prodotti bio e di quelli tradizionali (fonti le Borse merci di Milano e Mantova e Ismea, che fissa le quotazioni per i prodotti verdi) dice che lasciare le colture e gli allevamenti tradizionali può aumentare i ricavi fino al 50%, con picchi che portano fino al raddoppio dei prezzi in Borsa merci. Il consumatore è disposto a pagare di più se c’è la garanzia di produzione d’altri tempi e dunque anche nelle tasche dell’agricoltore arriva un riconoscimento.Qualche esempio: il frumento tenero passa da 28 a 38 euro al quintale (+30%), il mais da 25 a 38 (+52%), il risone carnaroli da 35 a 52 (+48%), le pere da 70 a 95 (+36%) e le patate da 40 a 57 centesimi al chilo (+42%), il latte da 39 a 46 centesimi al litro (+18%), il vitellone da 2,40 a 3,50 euro al chilo (+41%). Il record è dei suini: se il maiale è nutrito e allevato in bio style, il produttore può vendere un chilo di carne a 3,10 anziché 1,45 euro. Rincaro del 113%. Il biologico fa bene. Quanto meno alle tasche dell’agricoltore.

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