Scelgo bio, compro bio, mangio bio, ma cosa fa si che un alimento possa essere definito biologico?
Innanzitutto è necessario sottolineare che il termine biologico in campo alimentare si riferisce alla metodica di produzione di un alimento sia in ambito agricolo, sia in ambito di produzione animale destinata a consumo alimentare; ossia, un alimento può essere definito biologico se dal momento della semina fino alla raccolta, per quanto riguarda l’agricoltura e dalla nascita fino al macello, inclusa l’alimentazione dell’animale stesso e le modalità di allevamento (ad esempio per le galline ovaiole,), per quanto riguarda gli animali destinati all’industria alimentare, sono stati rispettati tutti i criteri segnalati dal protocollo del biologico.
Quindi innanzi tutto riscontriamo che biologico non vuole necessariamente dire privo di sofferenza e/o etico, ma sta ad indicare un alimento privo di additivi chimici, preservato solitamente grazie alla lotta integrata (quindi senza uso di pesticidi), coltivato su “terreno pulito” ovvero in un terreno sul quale non siano stati versati pesticidi per almeno 10 anni (secondo protocollo), non addizionato con conservanti e/o aromi di origine sintetica, non modificato geneticamente.
Se si tratta di materie prime pure, come le verdure o la frutta o i tuberi si fa riferimento al terreno di produzione, ai metodi di coltivazione, al “non uso” di pesticidi, al rispetto delle biodiversità; se invece si tratta di alimenti confezionati, come dolci o preparati per cibi cotti, dadi e quant’altro allora è importante che ogni singolo elemento provenga da una filiera biologica, se così allora anche il prodotto confezionato potrà definirsi biologico.
Esiste poi una successiva differenziazione tra prodotti certificati con il marchio biologico e prodotti che oltre ad essere inseriti tra i prodotti biologici, portano il bollino ICEA (istiuto per la certificazione etica e ambientale).
Questo secondo “plus” dell’industria agricola e alimentare ci garantisce qualcosa in più, ci assicura che l’alimento in questione, vegetale o derivato animale, come ad esempio le uova, sia stato coltivato/allevato nel rispetto dell’ambiente e del territorio, della popolazione locale e tutelando le necessità ed il benessere dell’animale (per quanto sia paradossale parlare di benessere in riferimento ad animali inseriti nella filiera di produzione alimentare, è altrettanto vero che proprio in un contesto del genere la metodica di allevamento fa la differenza e segna la qualità di vita dell’animale stesso).
Dunque la differenza tra un prodotto biologico ed uno convenzionale è racchiusa nei metodi di coltivazione e produzione che permettono al prodotto stesso di arrivare sul mercato. In sintesi potremmo dire che un prodotto convenzionale può essere stato coltivato su terreni trattati con pesticidi, può essere addizionato con conservanti e/o aromi sintetici, può essere stato modificato geneticamente o contenere ingredienti geneticamente modificati, mentre un biologico no.
Riguardo alla presenza di alimenti OGM all’interno dei prodotti convenzionali confezionati è importante sapere che non c’è obbligo di trasparenza da parte del produttore e che un prodotto alimentare che con contenga al suo interno vari ingredienti geneticamente modificati, ma in quantità inferiore alla 0.9% per singolo ingrediente, può essere definito “non OGM”.
In questo ambito l’etichettatura di un alimento è fondamentale in quanto rappresenta il biglietto da visita dell’alimento stesso e ci da la possibilità di scegliere, con consapevolezza, cosa portare sulle nostre tavole.
Dobbiamo anche ricordare però che la certificazione ha un costo che a volte i piccoli produttori locali non possono sostenere pur coltivando secondo i criteri del biologico, quindi se conosciamo qualche piccolo produttore di fiducia è sempre importante sostenerlo, infondo questo è lo spirito del “bio”.
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