mardi 2 avril 2013

La grande distribuzione slava la PMI


Che cosa sono le marche private? Avete presente tutti i prodotti che a, seconda del supermercato, troviamo a marchio Coop, Carrefour, Conad, Esselunga? Ecco, quelle. E dietro a queste “private label” si celano le piccole e medie imprese italiane, circa 1.500 secondo il Rapporto annuale sulla marca commerciale, che in questo tipo di attività hanno trovato la salvezza, visto il momento di crisi che stiamo vivendo.
Infatti, mentre gli altri consumi calano, le private label crescono. In termini di fatturato, nel 2012 le marche private sono cresciute del 6,2%, battendo l’altro segmento in forte espansione a causa della crisi, quello dei discount, che nel 2012 è aumentato del 5,8 per cento.
E dietro a questa crescita, non c’è solo la minor disponibilità economica delle famiglie, ma la maggior consapevolezza del consumatore che non si fa più attrarre solo dalla pubblicità e dalle confezioni accattivanti e fa attenzione alla qualità.
Sì, perché le imprese cosiddette copacker (quelle che producono per altri clienti) hanno fatto un enorme sforzo per attrezzarsi in modo da poter fornire prodotti al passo con le grandi marche, meno costosi ma di pari qualità, coprendo sia la fascia media, mainstream, ma anche quella alta dei prodotti premium, e dei prodotti biologici. Fedeli ai valori scelti dalle diverse catene di distribuzione, hanno imparato a rispettare criteri come la sicurezza, protocolli etici, a volte modificando gli stabilimenti produttivi e aderendo (è il caso di Coop) anche a progetti di risparmio energetico.
Tanto che il fenomeno negli ultimi dieci anni ha conquistato il 18% del mercato del largo consumo, sopravvivendo anche al calo degli acquisti, e nel 2012 ben il 99,8% delle famiglie italiane ha acquistato almeno un prodotto a marca commerciale.
E perché allora costano mediamente il 20% in meno dei prodotti “di marca”? Semplice: da un lato le pmi risparmiano sui costi di comunicazione e marketing non avendo un marchio proprio da promuovere, non c’è innovazione primaria, che costa tantissimo, e non ci sono i costi di intermediazione, siccome hanno già uno o più distributori cui vendere; dall’altro la grande distribuzione ottiene dalle pmi un margine maggiore sulla vendita rispetto alla marca industriale.
“Un’operazione straordinaria di comunicazione e di sviluppo delle nostre imprese”, commenta il professor Guido Cristini, ordinario di marketing dell’Università di Parma che da tempo studia il fenomeno. “Pensi solo a dieci anni fa: le marche commerciali erano per tutti dei sottoprodotti, che acquistavi solo perché costavano meno e non potevi permetterti di più. Ora invece convincono anche i consumatori più scettici e che cercano qualità”.

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