Se l’azienda Altamarea di Calogero (Lillo) Sardo, otto dipendenti, ha portato i suoi tonni e pesci spada affumicati dalla spiagge di Sciacca, Agrigento, fino agli scaffali dei grandi supermercati di Roma, Bologna e Milano, la ragione è una sola. Si chiama marca privata, o private label.
Dietro i marchi dei colossi della grande distribuzione, da Coop a Carrefour, da Conad a Esselunga, si nascondo piccole e medie imprese italiane come quella del signor Lillo. Circa 1.500, secondo il Rapporto annuale sulla marca commerciale, di cui il 90% appartiene al mondo delle pmi. Aziende che, spesso, agganciandosi ai grandi distributori, hanno trovato la salvezza in un momento di crisi.
Cibi, detersivi e in alcuni casi anche farmaci con il marchio del supermercato affollano gli scaffali. Prezzi più bassi, qualità elevata. E i consumatori, dopo un primo momento di diffidenza, sembrano apprezzarli. In barba ai richiami della pubblicità e affidandosi invece alla fiducia nella catena di grande distribuzione prescelta. Tanto che il fenomeno negli ultimi dieci anni ha conquistato il 18 per cento del mercato del largo consumo, sopravvivendo anche al calo degli acquisti. Mentre gli altri consumi calano, le private label crescono. In termini di fatturato, nel 2012 le marche private sono cresciute del 6,2%, battendo l’altro segmento in forte espansione a causa della crisi, quello dei discount, che nel 2012 è aumentato del 5,8 per cento.
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