È il formaggio più consumato nel nostro paese e per questo anche uno dei più contraffatti e adulterati. I consigli per scegliere i prodotti al di sopra di ogni sospetto.
È uno degli orgogli del made in Italy, e non si esagera se si dice che italiani e stranieri “ne vanno matti”. La mozzarella è il formaggio più consumato nel Belpaese (in media 23 grammi al giorno a testa) e anche il più esportato: insieme al Grana Padano copre il 75% delle esportazioni di prodotti lattiero-caseari.
Amata in tutte le sue declinazioni, artigianale o in busta, è anche la “regina” dell’estate, che sia “fritta in carrozza” o con pomodoro e basilico “alla caprese”. Ma tanto successo non è a costo zero. La mozzarella è anche tra gli alimenti maggiormente contraffatti, adulterati, contaminati.
I successi delle forze dell'ordine
I rapporti delle attività delle forze dell’ordine parlano da soli: tra il 2010 e il 2011 il Nucleo antifrodi dei carabinieri (Nac) ha messo sotto sequestro nei caseifici italiani 12.000 tonnellate di latte con la documentazione non in regola, per un valore di 17 milioni di euro.
E sempre nel 2011 il corpo forestale dello Stato ha sequestrato 500 tonnellate di latte straniero destinato alla produzione di mozzarelle “italiane” tra Emilia, Lombardia e Veneto, più 30.000 prodotti già imbustati. I “falsi”, insomma, non mancano affatto.
Quanto ai Nas, in una recente relazione sulle frodi alimentari le mozzarelle vengono annoverate tra i prodotti più soggetti a sofisticazioni. Nel testo si legge che spesso, fraudolentemente, vengono usati come ingredienti “caseine industriali magre”, oppure “latte in polvere ad uso zootecnico”, o al posto del latte, senza informare il consumatore “cagliate di origini lettoni, ungheresi, polacche e di altri paesi CE”. E senza il supporto di analisi chimico-fisiche sui prodotti è impossibile incastrare i truffatori.
Quell'incubo... blu
Ad agitare i sogni dei consumatori ci sono anche i recenti casi di contaminazioni, prima tra tutte quella della mozzarella blu, che da due anni continua a fare capolino nelle mense scolastiche o nei supermercati. Dopo il primo caso di Torino, nell’estate 2010, anche a Bari, Trento, Frosinone, Genova, Cagliari e Milano, nel tempo, sono state avvistate le mozzarelle “dei Puffi”.
Che il batterio responsabile della colorazione, lo Pseudomonas fluorescens, sia un batterio “banale” e non patogeno, è cosa ormai acclarata. Resta però la domanda di come sia finito nei latticini.
Non solo. Dall’indagine della Procura di Torino che scaturì dal caso di Torino, i controlli su una decina di aziende del Piemonte evidenziarono che il 67% dei 1.027 campioni di latticini analizzati era contaminato da batteri.
È il caso di allarmarsi e di stare alla larga dal gustoso formaggio? Non proprio, per fortuna. Fatto salvo per i batteri patogeni, che non devono essere negli alimenti, e che per questo sono “sorvegliati speciali”, trovare microrganismi alteranti nei prodotti freschi è considerata dai microbiologi una condizione “normale”.
Contaminazioni tollerabili
Spiega Andrea Serraino, docente di Ispezione degli alimenti di origine animale all’Università di Bologna, che “fatte salve alcune eccezioni, gli alteranti contaminano normalmente i prodotti lattiero-caseari durante la produzione, dato che gli ambienti di lavorazione non sono sterili”.
La maggior parte delle volte le mozzarelle vengono contaminate dopo la filatura per contatto con le attrezzature, attraverso l’acqua in cui vengono immerse per essere raffreddate o tramite il liquido di governo in cui vengono confezionate. Essendo però i latticini prodotti con “shelf life” (vita commerciale) breve “può essere accettata una contaminazione alterante più elevata, dato che, se correttamente conservati, non presenteranno alterazioni nel breve tempo entro cui verranno consumati”.
Per questo è fondamentale mantenere la catena del freddo: se azienda, rivenditore e consumatore conservano bene il prodotto, nessun batterio avrà modo di proliferare nel breve periodo di vita delle mozzarelle. In queste pagine, con l’aiuto degli esperti vi spieghiamo come fare, e come scegliere un prodotto che dia garanzie, in un mercato sterminato, in cui si fanno la concorrenza decine di aziende, anche a suon di prezzi stracciati.
I vari formati della mozzarella
Che sia ovale, a treccia, grande o piccina, noi tutti la chiamiamo - sempre e impropriamente - mozzarella. Ma tante e diverse sono le forme del latticino proposte dalla tradizioni culinaria italiana, ciascuno con le proprie peculiarità. Ecco le più conosciute, e le ricette più adatte.
Bufala
Con “mozzarella” si indica il prodotto di latte di bufala, ben altra cosa da quella di latte vaccino (Fior di latte). Più grassa e sapida, e più “nervosa” del Fior di latte ha un sapore acidulo e al taglio rilascia molto liquido. Va consumata fresca, “assoluta” o con prosciutto crudo o pomodori e basilico, e non dovrebbe essere conservata in frigo, ma a temperatura ambiente, per apprezzarne il sapore.
Fior di latte
È il nome che contraddistingue la mozzarella di latte vaccino (ha il marchio Stg: Specialità tradizionale garantita). Ha struttura fibrosa, e come la “bufala” rilascia al taglio un liquido lattiginoso. Il suo peso può variare da 20 a 250 grammi a seconda del formato. La “classica” ha la forma tonda ovale, e pesa tra i 150 e i 200 grammi. Ottima con pomodoro o prosciutto, nonè indicatissima per cucinare, perché rilasciamolto liquido a contatto con il calore, ma è assai gustosa “in carrozza”, cioè impanata e fritta, secondo la ricetta campana.
Fior di latte per pizza
Lo troviamo in commercio con questa dicitura, ed è davvero più indicato per la pizza e in cucina, perché ha una quantità di acqua inferiore e un minor tenore di grasso (15-20% contro il 25-40% della mozzarella). Non bisogna però confonderlo con preparati per pizza fatti con formaggio fuso, che sono ben altra cosa.
Treccia
Tipica del Sud Italia (Puglia e Campania), deve il suo nome al fatto che il cordone di pasta filata viene intrecciato manualmente fino a ottenere una treccia. È liscia, compatta e poco elastica e ha un gusto sapido. Oltre a essere mangiata cruda è ottima per la cucina, perché molto compatta. Sfilacciata,i pugliesi la usano per condire il timballo di pasta al forno.
Nodini
Sono le caratteristiche “mozzarelle” pugliesi. Di pasta filata, sono annodate a mano e hanno un pasta più elastica e fibrosa rispetto alle classiche Fior di latte di forma ovale. Leggermente diverso è anche il sapore, più sapido e acidulo. Ottimi sia crudi che in cucina.
Ciliegine
Di forma ovale e del peso di circa 20 grammi ciascuna, sono leggermente più sapide della mozzarella grande perché restano più a lungo nella salamoia. La loro dimensione le rende ottime per l’insalata.
Un prodotto vivo che ha bisogno di moltissima cura
“Produciamo mozzarelle con materia prima controllatissima, le seguiamo nelle fasi di lavorazione e anche dopo, fino a che non entrano nei punti vendita. Ma da quel momento in poi tocca al rivenditore e al consumatore averne ‘cura’. Una mozzarella ben conservata dura 3 settimane, una mal tenuta può deperire ben prima della data di scadenza”.
Vittorio Zambini è direttore Qualità, innovazione, sicurezza e ambiente di Granarolo, azienda leader nel settore lattiero caseario. E sa bene che la mozzarella è un prodotto “delicato”, perché “vivo”, e non sterile, perché ha una sua microflora, è senza conservanti e, soprattutto, è a contatto con l’acqua.
Non a caso, per scongiurare al minimo il pericolo di contaminazioni, le aziende produttrici di latticini devono attenersi a regole ben precise, definite in linea generale nel cosiddetto pacchetto igiene, una serie di regolamenti comunitari del 2004 sulla produzione di alimenti di origine animale. Le regole cui attenersi vanno dall’igiene dei locali e delle persone che vi lavorano al lavaggio dei macchinari, finendo con le analisi microbiologiche a campione sui prodotti finiti. “Si tratta di indicazioni generali”, spiega Mena Pagano, tecnologa alimentare e consulente presso diverse aziende nei processi di qualità, “che riguardano tutti i passaggi della produzione, dalla scelta della materia prima ai controlli sui prodotti finiti per individuare l’eventuale presenza di metalli pesanti dovuta ai processi lavorazione, o di micotossine”.
Il compito dell’azienda, su prodotti “freschi” e “vivi” come i latticini è quello di abbassare al minimo le probabilità di contaminazione batterica, ed è per questo che gli stabilimenti moderni hanno oggi regole rigidissime, reparti con zone protette, organizzazione che evita qualunque contatto “umano” con i prodotti.
“Le grandi aziende adottano spesso numerose certificazioni di qualità, che le costringono a norme ancora più stringenti rispetto a quelle imposte dalla legge”, spiega la tecnologa.
Granarolo è una di queste. Dallo stabilimento di Bologna escono le mozzarelle a marchio Granarolo e Pettinicchio, fatte entrambe con latte proveniente da allevatori fisicamente vicini allo stabilimento, e che detengono anche quote azionarie dell’azienda.
Ma la qualità del prodotto finito non dipende solo dalla materia prima. “Grandissima attenzione bisogna porre nella fase della pastorizzazione del latte, e nel controllo dell’acqua in cui viene immersa successivamente la filata mozzarella una volta formata per raffreddarsi. In Granarolo l’acqua viene ultrafiltrata in continuo per renderla pura il più possibile”, spiega Zambrini.
È questa, infatti, la fase più delicata della lavorazione. Ma anche dopo che il latticino è prodotto e imbustato con il suo liquido di governo (anch’esso microfiltrato), bisogna tenere alta l’attenzione: un innalzamento della temperatura dell’ambiente potrebbe comprometterne seriamente la qualità.
Di qui l’obbligo di legge di tenere bassa e costante la temperatura dei mezzi che trasportano il prodotto dagli stabilimenti ai clienti. Una volta che il prodotto è entrato in negozio, e successivamente nelle case dei consumatori, tutti devono però fare la loro parte affinché la mozzarella si conservi intatta per tutta la sua vita naturale.
Il prodotto, per cominciare, non deve mai restare fuori dal frigo per troppo tempo per evitare la proliferazione dei batteri. Una volta “dentro”, inoltre, bisognerebbe regolare la temperatura almeno a sei gradi (per misurare la temperatura, se non si ha un termometro da frigo, è sufficiente un bicchiere d’acqua con dentro un termometro ad alcol). Anche l’igiene del frigo ha la sua parte (andrebbe pulito e disinfettato ogni due settimane); come la sistemazione degli alimenti. In basso frutta e verdura, specie se non sono lavate, in alto il resto. Mai lasciare un prodotto aperto per giorni, magari sui piani inferiori: potrebbe contaminarsi facilmente e deteriorarsi creando un problema di “igiene ambientale”.
Come riconoscerla
Se c’è scritto Fior di latte
Il Fior di latte è una specialità tradizionale garantita, e i prodotti che si fregiano di questo marchio devono avere come ingredienti latte vaccino intero, caglio, fermenti lattici vivi e null’altro. Se la dicitura non c’è, e troviamo la generica scritta “mozzarella”, nella maggior parte dei casi il produttore ha sostituito i fermenti con correttori di acidità come l’acido sorbico o citrico. Il prodotto è considerato meno “nobile”, e al palato ha un sapore meno acidulo, più blando.
Occhio agli ingredienti
Alcuni produttori sostituiscono il latte intero con cagliata, di più basso costo. In molti casi è facile scoprirlo da una rapida lettura dell’etichetta. Il prodotto finale è decisamente più scadente: ha un colore opaco e la struttura è più rigida e meno “succosa”. Al palato il sapore è decisamente più povero.
Latte italiano, sì o no?
Alcuni produttori vantano di usare solo latte italiano. È un discrimine? Spiega Andrea Serraino, docente all’Università di Bologna di Ispezione degli alimenti di origine animale, che l’utilizzo di latte italiano non è in linea teorica garanzia di qualità o sicurezza, (le norme sono le medesime in tutta la Ue). Tuttavia, poiché
il latte è un alimento estremamente deperibile, il trasporto internazionale può causare un deperimento della qualità microbiologica che rende necessari trattamenti più intensi o ripetuti: un aspetto che ha ovvi riflessi sulle proprietà nutritive del latte e dei prodotti derivati.
Cosa guardare: i consigli dell’esperto
Etichetta a parte, la mozzarella può essere stata lavorata o conservata male. Matteo Ansanelli, agronomo della Confederazione italiana agricoltori e presidente dell’associazione Agricoltura è Vita, ci spiega cosa guardare per capirlo.
Il colore
La mozzarelle deve essere bianca, se è giallina, nel migliore dei casi è stata conservata senza latticello.
La superficie
Deve essere liscia e non sfaldata: essendo la mozzarella un prodotto “vivo”, se non tenuta alla temperatura di 4-6° la carica microbica dei fermenti lattici prosegue la sua attività aggredendola. E non va bene.
Il latticello
Deve essere limpido. Se presenta residui è sintomo dello stesso problema: le proteine del latte si sono degradate per effetto dei fermenti.
La consistenza
Né troppo morbida, né troppo dura. Se si “rompe in bocca”, la mozzarella è “andata”. Se è rigida e non elastica può essere stata conservata con poco latte, o gli ingredienti non sono esattamente quelli dichiarati...
L’interno
Occhio ai buchi, specie se grandi: indicano che la fermentazione è proseguita. Un segnale che la nostra mozzarella è “datata”.
Source: http://goo.gl/wbLCR
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DB
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